Nel corso della notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 sette operai (Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino) perdono la vita, coinvolti in un incendio all'interno della ThyssenKrupp di Torino.
Il 15 aprile scorso, dopo 94 udienze, la Corte d'Assise di Torino ha condannato a 16 anni e mezzo, per omicidio volontario, l'amministratore delegato della ThyssenKrupp Harald Espenhahn. Una svolta epocale, a detta di molti, nella giurisprudenza sulla sicurezza nei posti di lavoro, per l'introduzione del dolo eventuale, che potrebbe significare una intensificazione dei controlli nelle imprese. Ma i vertici dell'acciaieria non hanno accolto con piacere la sentenza dei giudici di Torino, che hanno accolto in toto le richieste del pm Raffaele Guariniello, e si sono rivolti direttamente all'associazione degli industriali, «Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall'associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali». «Questa sentenza segna una tappa importante nella giurisprudenza in materia di infortuni sul lavoro», dice a TopLegal Pietro Ichino (nella foto), avvocato giuslavorista e Senatore.
Sedici anni e mezzo di reclusione all'amministratore delegato della TyssenKrupp per omicidio volontario, è una sentenza che cambierà la giurisprudenza italiana in materia di sicureza sul lavoro?
Per la prima volta qualifica il comportamento del datore di lavoro in termini di dolo eventuale. Non va dimenticato, però, che in questo caso l’istruttoria ha portato alla luce circostanze davvero eccezionali e impressionanti, riguardo alla consapevolezza del rischio da parte dei responsabili e alla scelta deliberata di omettere le misure di sicurezza necessarie.
Secondo lei l'appello confermerà il verdetto o lo ribalterà?
È davvero impossibile dare una risposta attendibile a questa domanda. Il principio affermato nella sentenza mi sembra difficilmente controvertibile; ma possono non esserlo le risultanze istruttorie circa l’elemento psicologico del reato. Non conosco abbastanza gli atti del giudizio per formulare anche solo una prognosi circa l’esito del secondo grado del giudizio.
I vertici dell'azienda hanno chiesto l'intervento di Confindustria affermando che "con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare in Italia", che ne pensa?
Il vero ostacolo agli investimenti esteri nel nostro Paese non è una sentenza come questa, che applica in modo rigoroso e severo la legge penale, ma semmai la diffusa disapplicazione della legge nel nostro tessuto produttivo.
Può chiarire meglio?
Le grandi imprese straniere non vengono volentieri a operare in un Paese dove è normale che la legge sia applicata dalle amministrazioni pubbliche in modo molto lasco e che metà della forza lavoro venga assunta in forme semi-legali o del tutto illegali: anche perché questo modo di operare richiede un know-how specifico che le imprese straniere non possiedono.
C'è preoccupazione da parte degli imprenditori per questa sentenza?
Più che per la sentenza, che era in larga misura scontata, c’è qualche preoccupazione per un termine usato dal Pubblico ministero in riferimento agli imputati: “criminalità organizzata”. Questo, francamente, mi è parso gravemente inopportuno e fuori luogo, anche dal punto di vista tecnico-giuridico.
Le hanno già chiesto qualche parere?
Probabilmente ce lo chiederanno nel prossimo futuro. Cercheremo di chiarire il nesso tra la severità di questa sentenza e la gravità delle risultanze istruttorie nel caso specifico. Il che non significa che sul fronte della sicurezza del lavoro si possa abbassare la guardia; ma significa che chi applica la legge correttamente e in buona fede non ha nulla da temere in conseguenza di questo nuovo orientamento giurisprudenziale.
In seguito a questo verdetto, a parer suo, si attiverà una maggiore prevenzione per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro nel nostro Paese?
Non lo so. Certo è che Il tasso più elevato di infortuni gravi in Italia rispetto al resto d’Europa è dovuto soprattutto al tasso più elevato di lavoro irregolare e al difetto di cultura della sicurezza e della legalità. Una sentenza come quella sul caso Thyssen è importante per il principio che afferma, ma non può essere solo una sentenza severa a risolvere il problema. Chi è abituato a disapplicare le leggi non cambia comportamento per la minaccia di sanzioni più dure.
L'attività dei legali giuslavoristi in materia di sicurezza si intensificherà?
In questo campo, più che il diritto conta la cultura delle regole, la civicness diffusa, la consapevolezza che un’azienda più sicura è anche un’azienda più efficiente. Comunque, un po’ di attenzione in più anche da parte degli avvocati giuslavoristi è sicuramente necessaria. E verrà richiesta.