Arbitrati / Lo scenario

UN BUSINESS GLOBALE PER POCHI

All’estero il settore è diventato la nuova frontiera anticiclica da esplorare. In Italia il contesto sembra favorevole, ma pochi potranno cavalcarlo

03-04-2014

UN BUSINESS GLOBALE PER POCHI

L’arbitrato internazionale non ha mai destato particolare attenzione in Italia. Almeno non fino ad oggi. Ma qualcosa sta cambiando e i tempi sembrano maturi per un’inversione di rotta. Il cambiamento è spinto da due fattori. In primo luogo, sta crescendo la reputazione italiana in tema di arbitrati internazionali. Tanto che al vertice di tre importanti istituzioni con il ruolo di segretari ci sono tre italiani: Andrea Carlevaris per l’International chamber of commerce (Icc) di Parigi, Francesca Mazza per la Camera arbitrale tedesca (Dis), e Stefano Azzali per la Camera arbitrale di Milano. Le prime due nomine dimostrano
quanto sia in ascesa il prestigio dei singoli giuristi all’estero. Nel caso del Dis, per giunta, è la prima volta che sale un segretario italiano. Ma in Italia il momento sembra propizio anche perché – merito della spinta all’internazionalizzazione della Camera arbitrale di Milano – aumentano gli arbitrati gestiti sul nostro territorio.

Mentre più imprenditori italiani volano all’estero, le grandi multinazionali straniere sono restie a confrontarsi con i limiti della giustizia ordinaria tricolore. In questo contesto di crescita, il mercato è stato movimentato dalla nascita di una realtà dedicata all’arbitrato. Si tratta di Arblit, boutique costituita da Luca Radicati di Brozolo e Michele Sabatini, usciti da Bonelli Erede Pappalardo (Bep). «Quando facevo parte di Bep ho dovuto rinunciare a incarichi importanti», spiega Radicati di Brozolo. E continua: «Mettendoci in proprio abbiamo evitato i conflitti di interesse che sorgono spesso se lavori in una grande struttura, mentre sono meno frequenti in strutture più semplici».

 Se Arblit ha creato un precedente nel mercato legale italiano, lo stesso non può dirsi all’estero dove le piccole realtà arbitrali sono in crescita. Recente la notizia della costituzione di una boutique nata come spin off da Freshfields, primo studio al mondo nelle classifiche tra gli operatori di artitrato. La nuova realtà ha visto unirsi Costantine Partasides, capo della practice a Londra, Georgias Petrochilos, socio con sede a Parigi, e Jan Paulsson, che è stato a capo del gruppo di arbitrato internazionale per 20 anni. Questa fuga verso la boutique segue altri esempi: gli ex di Shearman & Sterling Christophe
Dugue e William Kirtley alla fine dell’anno scorso hanno formato Dugue & Kirtley; mentre Christophe Seraglini e Jean Georges Betto, partner rispettivamente di White & Case e Hogan Lovells, hanno costituito Betto Seraglini.

Troppi gli esempi per poter parlare solo di conflitto d’interesse. Oltre l’etica c’è di più: una marginalità ben sette volte superiore a quella ricavata da un contenzioso. Inoltre, a differenza di quanto avviene in altre nicchie anticicliche, la remuneratività si accompagna a un vantaggio che poche possono vantare: l’arbitrato internazionale è un mercato mondiale. E, proprio per questo, sono pochissime le realtà in grado di spartirsi i mandati. Ma serve attrezzarsi per essere competitivi sul mercato internazionale. Questo servizio iperspecializzato richiede conoscenza delle lingue, delle procedure e delle leggi straniere, in aggiunta a un’attitudine a lavorare e spostarsi in corti estere che non tutti hanno. Dopo il labour, il restructuring e l’amministrativo, il nuovo territorio da esplorare in solitaria per il mercato legale italiano più sofisticato potrebbe proprio essere l’alterative dispute resolution.

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