Un diritto fuori dal comune

19-06-2017

Un diritto fuori dal comune

La transizione del mondo moderno verso il villaggio globale ci ha proiettati in una sfera politica ed economica costellata di rapporti e scambi su scala globale, in cui entra in gioco con forza la dimensione del diritto e, di conseguenza, il ruolo imprescindibile del traduttore giuridico.

Dovendosi confrontare con una variegata e complessa moltitudine di leggi, norme, regolamenti, codici, sistemi e ordinamenti, il traduttore giuridico non è più semplicemente un soggetto che traspone parole e frasi da una lingua all’altra, ma un attore comprimario del testo, chiamato - in ragione delle differenze esistenti tra ordinamenti giuridici - a interpretare, adattare, parafrasare, creare e illustrare concetti non di rado inesistenti nel diritto del proprio Paese e nella propria madrelingua.

Gli esempi sono illuminanti, significativi e ricchi di implicazioni in termini linguistici, concettuali e interpretativi. Si pensi ad esempio al rifiuto, nel diritto inglese, della distinzione – che è per contro assolutamente immediata per i paesi di civil law – tra diritto pubblico e diritto privato o tra diritto civile e commerciale, o al termine e alla figura del notary statunitense, che quasi nulla ha a che fare con il nostro “notaio”, avendo negli Stati Uniti sostanzialmente una funzione di tipo certificativo (con tanto di scadenza indicata nel timbro dell’incarico!). Si pensi infine alla differenza fondamentale che intercorre tra l’ordinamento di common law e quello di civil law. Nel primo, che comprende i maggiori paesi di lingua inglese, ossia Regno Unito, Stati Uniti d’America, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda e Canada (eccettuato il Quebec), caratterizzato da un’assenza di codici scritti, è il giudice stesso a creare il diritto, la norma si configura dopo che il fatto è accaduto. Al contrario, nell’ordinamento di civil law (di cui fanno parte Italia e Francia), basato su codici scritti, le norme sono intese come regole di condotta legate a concetti di giustizia e moralità. Una distinzione importantissima dalle profonde quanto interessanti implicazioni linguistiche: trattandosi di una specificità non esistente nei paesi basati sul diritto romano-germanico, il traduttore non potrebbe mai tradurre il termine common law con “diritto comune” (che sarebbe un concetto completamento diverso), così come non potrebbe tradurre un altro termine altrettanto diffuso quanto fuorviante come equity (comune è l’espressione “at law or in equity”), ossia quel sistema integrativo introdotto nel Medio Evo attraverso il quale i sudditi, insoddisfatti delle soluzioni e dei rimedi forniti dalla common law, avevano facoltà di rivolgersi al re per chiedergli di garantire loro giustizia. Vero è che implica un’idea di “equità”, ma la sua traduzione in un’altra lingua non può essere offerta e si dovrà in questo caso ricorrere a una perifrasi (“basato sui principi dell’equity”).

Chi si occupa di testi giuridici deve quindi avere una duplice capacità, affiancando la competenza linguistica a un solido background giuridico, con una specializzazione mirata sugli ordinamenti delle proprie lingue di lavoro.

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