Pedersoli

UNA VOCE CONTROMERCATO

Abbandonata la struttura piramidale, Pedersoli ha plasmato una geometria fondata sui professionisti senior. La stessa che gli consente di non scendere la catena alimentare e di replicare il business dei suoi principali clienti: le banche. Con questo modello oggi lo studio punta al mercato cinese

08-05-2014

UNA VOCE CONTROMERCATO

Un’impresa di famiglia tipicamente italiana. È questo ciò che si potrebbe pensare attraversando i corridoi di Pedersoli e associati, lungo i quali non è improbabile incrociare tre generazioni della stessa famiglia: il fondatore Alessandro Pedersoli, i figli Carlo e Antonio Pedersoli, senior partner dell’insegna, e ora anche il nipote Edoardo Pedersoli, classe 1986, associate. Eppure, lo studio ha ormai dismesso i panni della law family; mentre quelli dell’impresa non sono stati mai indossati. I soci Ascanio Cibrario, Filippo Casò, Carlo ReMaura Magioncalda, che fanno gli onori di casa nell’incontro con TopLegal, concordano nel descrivere l’insegna come una realtà lontana dalla dimensione familiare, in cui domina una filosofia associativa e non aziendalista.

Lo studio, nato nel 1998 da Alessandro Pedersoli, non racconta solo la storia di una famiglia, ma quella di una realtà in cui dialogano tre anime: lo zoccolo duro originario e due spiriti più giovani, derivanti dall’aggregazione di Marena D’Angelo Fagotto, datata 2011, e di alcuni professionisti di Grande Stevens, datata 2010. Due acquisizioni fondamentali che hanno dato una nuova spinta a un’insegna che aveva subito i contraccolpi di uscite di peso. Dei 15 soci che nel 2006 avevano portato Pedersoli a consacrare una delle stagioni più importanti della sua storia, culminata nel sigillo apposto sulla fusione tra SanPaolo Imi e Banca Intesa, oggi ne rimangono meno della metà. A partire dal 2007 otto soci hanno imboccato l’uscita. Tra questi, Giovanni Pedersoli, Andrea Arosio Dario Longo, andati a costituire la sede italiana di Linklaters.

Un colpo duro per l’insegna, che in pochi anni è riuscita nuovamente a raddoppiare la partnership, puntando su aggregazioni strategiche che si sono snodate su un doppio asse: integrare le competenze e raddoppiare il mercato di riferimento. Con l’avvio e il consolidamento delle sede torinese, "che afferma Carlo Re oggi incide per circa il 25/30 per cento sul fatturato" si è ampliata l’offerta a settori come il labour e l'ip e si sono rafforzati il corporate
e litigation; mentre l'integrazione di Marena D’Angelo Fagotto ha consentito di accedere alla clientela mid cap. Senza mai rinunciare, però al core business: le operazioni straordinarie tra cui il recente maxi-salvataggio di Seat Pagine Gialle.

Puntare sulle operazioni straordinarie è una scelta in controtendenza in un momento in cui il mercato langue e la maggior parte dei competitor scende la catena alimentare. E non è l’unica strada contraria imboccata dall’insegna, che si presenta sui generis anche nella struttura. La piramide, per anni simbolo della perfetta strutturazione degli studi legali, in Pedersoli ha lasciato il passo a una geometria diversa, che punta sull’anzianità del team. "La reputazione è difficile da mantenere e per questo cerchiamo di mandare al mercato un chiaro messaggio qualitativo" spiega il partner Ascanio Cibrario. Tenendo la barra dritta su questo obiettivo, lo studio ha ampliato la compagine senior, che attualmente rappresenta esattamente la metà della struttura. Si parla di 47 figure di alto profilo – divise in 18 soci equity, 12 junior partner, 5 of counsel (tra cui il fondatore), 3 senior lawyer e 9 senior associate – su un totale di 94 professionisti. Una strategia che sembrerebbe pagare. Infatti, secondo le ultime stime sui fatturati pubblicate da TopLegal nel giugno del 2013, lo studio ha registrato nel corso del 2012 ricavi per 23 milioni di euro e un utile di 11 milioni, posizionandosi al 21° posto della classifica per fatturato e al 19° per utile.

Un risultato di prim’ordine per una struttura che viola le leggi che da decenni regolano il mercato legale, che vogliono i grandi numeri appannaggio di junior e trainee, messi a lavoro su quasi l’intera filiera del prodotto per ridurre i costi di produzione. Eppure, tagliare i costi fissi è diventato un diktat per rimanere sul mercato di oggi. Mentre, come noto, le figure senior sono quelle che incidono maggiormente sulle casse degli studi. Così anche Pedersoli ha iniziato a ragionare su come ottimizzare i costi di struttura, decidendo di affrontare la questione su due fronti: introducendo una maggiore variabilizazzione nella compensazione dei professionisti e rendendo i team più fluidi e meno chiusi, in modo da mettere a disposizione le stesse risorse su più practice.

Più che sui costi, l’insegna punta a concentrarsi sui ricavi. "Ridurre soltanto i costi rischia di essere controproducente" commenta a riguardo Maura Magioncalda, ex Ashurst entrata in qualità di socia nel 2009, che sottolinea come si sia deciso di creare maggiori sinergie tra i vari dipartimenti in modo da far aumentare il cross selling interno, "il cui potenziale non è ancora stato sfruttato al meglio".

A questo va aggiunto un tassello fondamentale: l’apertura verso nuovi mercati. Se i clienti, come emerso in più di un’occasione durante le ricerche condotte dal Centro Studi TopLegal, tendono ancora a dare una connotazione fortemente territoriale all’insegna, riconosciuta come un operatore primario sulla piazza lombarda e piemontese, lo studio sta invece puntando verso la Cina, dove Antonio Pedersoli – forte delle relazioni con le istituzioni italiane, che da sempre  appresentano una voce di peso nel track record dello studio – ha iniziato a interessere rapporti con diverse societ., cercando una relazione diretta con i clienti anzichè con gli studi. Contando soprattutto sulla cultura finanziaria ben consolidata dell’insegna.

Se è vero, infatti, che lo studio ha ormai abbandonato la dimensione familiare, sembra ancora ben ancorato a quella di studio delle banche.
Una fetta consistente di mandati lo vede affiancare gli istituti di credito, tra cui Bpm, Unicredit e il cliente storico Intesa, che ha recentemente seguito nell’ingresso in Palladio e nella ristrutturazione del debito di Tassara. Ed è proprio l’expertise presso il ceto creditizio una delle qualità più apprezzate dai clienti, che lo premiano proprio perchè, secondo i consensi raccolti da TopLegal, "capisce la complessità delle dinamiche bancarie", "ha un’ottica di banca" ed "essendo uno studio notoriamente al fianco dei creditori, non crea conflitti di interesse". Una expertise talmente consolidata che gli sarebbe valsa anche il riuscire a intercettare alcuni clienti del ceto bancario cinese, pronti a investire nel mercato europeo.

L’ennesima prova che per tenere testa alla crisi del settore bisogna diventare partner di business del cliente. Al di là del mercato in cui si agisce, è questo  che chiedono i clienti: un advisor che conosca talmente a fondo gli ingranaggi del loro business da replicarne l’approccio. Fatto questo, persino la via per l’internazionalizzazione non è più una chimera.

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