« Poco ficcanti e poco risolutivi, e di solito non aggiungono nulla ai dubbi che abbiamo ». È il giudizio tranchant di Stefano Giberti (in foto), Senior legal counsel Southern- Europe di General Electric Healthcare, colosso farmaceutico e medicale all’interno di una delle conglomerate più grandi del pianeta, sui « famosi pareri di 20 pagine di alcuni studi esterni, di cui 15 riassumono il quadro normativo di riferimento ». In una battuta Giberti porta a galla una delle questioni che nel tempo ha condotto a una certa sfiducia dei legali d’azienda nei confronti dei consulenti esterni, spingendo verso una ridefinizione dei confini del mercato e dei rapporti di forza tra studi e aziende: l’effettiva utilità dei servizi offerti, spesso pagati a caro prezzo.
Il valore, a quanto pare, non si trova neanche nelle cinque pagine rimanenti, che nell’esperienza di Giberti « trattano la fattispecie in questione in maniera molto probabilistica: si potrebbe prospettare…, si potrebbe suggerire ragionevolmente che… » sono formule che non giustificano fatturazioni elevate e spesso non rendono onore allo standing di certi studi. Oltre a non rappresentare quella protezione che il General counsel richiede a un parere per dare più forza alle decisioni assunte nell’ambito del business. « È questo il possibile limite del legale esterno, specialmente qualora non abbia mai lavorato in azienda. Di fatto fa un altro mestiere. Noi siamo dei legali ma anche dei manager, e dunque dobbiamo trovare un giusto compromesso tra i due ruoli per poter dire all’azienda cosa fare. Se il legale esterno mi presenta il quadro normativo, mi presenta il rischio, le diverse posizioni della giurisprudenza: in fondo cosa mi sta suggerendo di fare? Non mi sta suggerendo niente in realtà, conferma solo i dubbi che avevamo prima e alla fine la responsabilità delle decisioni dobbiamo prenderla noi ».
Il settore in cui opera GE Healthcare è molto particolare: farmaci diagnostici e dispositivi medicali; una nicchia di mercato legata a doppio filo con la Pubblica Amministrazione, da cui proviene l’ 80% del fatturato. Il settore sta accusando il colpo delle ripetute spending review operate dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, rispetto alle quali Giberti, nella veste di legale di GE (ma anche all’interno del Comitato dei legali di Assobiomedica) si muove in maniera attiva per difendere il business. La gran parte del tempo del dipartimento legale viene spesa così su tematiche di diritto amministrativo: gare di appalto, interpretazioni di capitolati, contestazioni, diffide, ricorsi amministrativi al Tar e al Consiglio di Stato, esposti all’Autorità di Vigilanza per contratti pubblici, e tematiche Antitrust. In misura minore ci sono gli aspetti commerciali, riferiti prevalentemente alla contrattualistica ( per la maggior parte ormai standardizzata, relativamente alla retribuzione di agenzia, alla consulenza con i professionisti sanitari, alla valutazione clinica dei prodotti), a rapporti con terze parti (agenti o distributori), compliance e 231, senza dimenticare il diritto societario, con le operazioni straordinarie che in questi anni hanno fatto comunque capolino nel percorso di sviluppo di GE Healthcare. « Io cerco di internalizzare il più possibile, l’esternalizzazione è relativa » ci dice Giberti. « Io e i miei colleghi entriamo sovente nel merito della stesura dell’eventuale ricorso al Tar o dell’eventuale memoria difensiva in quanto si tratta di tematiche molto tecniche che i legali esterni non conoscono o non comprendono immediatamente ». Questo porta la società Usa ad avere pochi rapporti e molto consolidati con professionisti esperti. I motivi sono evidenti: razionalizzazioni di costi, conoscenza delle tematiche legali e delle dinamiche del business da parte del consulente, che grazie al rapporto continuativo nel tempo è divenuto pratico della materia, e ultimo, ma non per questo meno importante, il rapporto personale. « Non mi piace avere troppi interlocutori, cerco la fidelizzazione e voglio che l’avvocato esterno si senta un po’ parte della società e dei suoi destini », dichiara Giberti.
Questa impostazione si riflette anche sui costi. Benché non ci sia stato finora un taglio dei budget, c’è però una chiara linea guida che proviene dall’headquarter europeo sulla riduzione dei costi per i legali, che si traduce in un forte monitoraggio sulle spese delle varie filiali. Alla fine dell’anno, dopo aver analizzato ciò che è stato speso, si cerca per l’anno a venire di spendere di meno. Operativamente lo stesso Giberti dichiara di trattare su tutto, concordando quasi sempre con studi esterni un onorario a forfait dopo aver presentato la tematica al professionista, valutato la complessità e l’importanza che la questione riveste per la società. Quasi mai viene accettato il billing orario, sia reale che « presunto », vale a dire un forfait che venga palesemente determinato dalla mera somma delle ore che il legale esterno presume di impiegare nella pratica. « In generale lo studio legale esterno lo utilizzo per il contenzioso ( per esempio gare d’appalto, contenzioso in materia di contenimento di budget sanitari) – ci dice il General counsel di GE – tranne nel caso in cui è richiesta una competenza molto specifica, quindi il supporto di un legale di nicchia esperto di quella particolare tematica. Ad esempio, per quanto riguarda lo stragiudiziale su tematiche specifiche quali quelle farmaceuticoregolatorie o le tematiche ambientali. Ho una buona conoscenza degli studi legali esperti in tematiche healthcare, e di solito non faccio beauty contest perché è un settore in cui ci sono pochi realmente esperti in Italia; personalmente ne conto quattro o cinque al massimo. Decido autonomamente sulla base delle esperienze passate, del rapporto, della fidelizzazione, e tendo sempre a fare discorsi a lungo termine ».
A questo proposito Giberti si dichiara « un po’ anarchico, un battitore libero» nella gestione del lavoro, un’inclinazione che lo ha favorito nelle sue esperienze in multinazionali (oltre a GE, ha lavorato in Basell – joint venture di Basf e Shell – e in Shering Plough), e che al contrario ha dovuto limitare nella sua breve esperienza in Helsinn Healthcare, un piccola impresa padronale svizzera del mercato biomedicale. Qui, seppur apprezzando i vantaggi di lavorare a livello di headquarter, nella stanza dei bottoni, doveva confrontarsi quotidianamente con la proprietà, cioè una famiglia che ricopriva contestualmente tutti i ruoli del management. Oggi invece, sebbene i rapporti con l’Ad siano costanti, Giberti riporta al quartier generale europeo basato a Parigi (che a sua volta riporta all’headquarter mondiale in Inghilterra) gestendo, oltre all’Italia, anche le attività di Spagna e Portogallo (attraverso un legale locale), Israele (tramite uno studio esterno) e Malta. Healthcare è solo una delle divisioni di business di GE, e ognuna è una multinazionale a se stante, con limitati rapporti anche per quanto riguarda il settore legale. A Firenze, ad esempio, è presente l’headquarter mondiale di GE Oil & Gas, ma con i legali basati in Toscana Giberti non ha legami, se non nell’ambito di un Italian Legal Council che vede riunioni di aggiornamento e di condivisione con cadenza trimestrale.
Chissà se è capitato allora in una di queste occasioni lo scambio di vedute sui pareri dei legali esterni che il responsabile legale di GE Healthcare ci riporta: « Molto spesso alcuni colleghi dicono: io mi faccio fare un parere così se alcuni mi contestano quello che ho detto posso rispondere: me l’ha detto l’avvocato esterno. Io dico: lo puoi fare se trovi un parere che ti dica realmente quello che devi fare. Ma questo è in fondo, come detto prima, il nostro mestiere: manager che si devono assumere responsabilità all’interno dell’azienda ».
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