GE Healthcare

VALORE CERCASI

Quanto sono utili i servizi legali? Se si limitano a confermare dubbi preesistenti senza guidare le scelte aziendali, poco, secondo il Senior legal counsel Stefano Giberti

16-07-2014

VALORE CERCASI

« Poco ficcanti e poco risolutivi, e di solito non aggiungono nulla ai dubbi che abbiamo ». È il giudizio tranchant di Stefano Giberti (in foto), Senior legal counsel Southern- Europe di General Electric Healthcare, colosso farmaceutico e medicale all’interno di una delle conglomerate più gran­di del pianeta, sui « famosi pareri di 20 pagine di alcuni studi esterni, di cui 15 riassumono il quadro normativo di riferimento ». In una bat­tuta Giberti porta a galla una delle questioni che nel tempo ha condotto a una certa sfiducia dei legali d’azienda nei confronti dei consulenti esterni, spingendo verso una ridefinizione dei confini del mercato e dei rapporti di forza tra studi e aziende: l’effettiva utilità dei servizi of­ferti, spesso pagati a caro prezzo.

Il valore, a quanto pare, non si trova neanche nelle cinque pagine rimanenti, che nell’esperien­za di Giberti « trattano la fattispecie in questio­ne in maniera molto probabilistica: si potrebbe prospettare…, si potrebbe suggerire ragionevol­mente che… » sono formule che non giustifica­no fatturazioni elevate e spesso non rendono onore allo standing di certi studi. Oltre a non rappresentare quella protezione che il General counsel richiede a un parere per dare più forza alle decisioni assunte nell’ambito del business. « È questo il possibile limite del legale esterno, specialmente qualora non abbia mai lavorato in azienda. Di fatto fa un altro mestiere. Noi siamo dei legali ma anche dei manager, e dunque dobbiamo trovare un giusto compromesso tra i due ruoli per poter dire all’azienda cosa fare. Se il legale esterno mi presenta il quadro normativo, mi presenta il rischio, le diverse posizioni della giurisprudenza: in fondo cosa mi sta suggerendo di fare? Non mi sta suggerendo niente in realtà, conferma solo i dubbi che avevamo prima e alla fine la responsabilità delle decisioni dobbiamo prenderla noi ».

Il settore in cui opera GE Healthcare è mol­to particolare: farmaci diagnostici e dispositivi medicali; una nicchia di mercato legata a doppio filo con la Pubblica Amministrazione, da cui proviene l’ 80% del fatturato. Il settore sta ac­cusando il colpo delle ripetute spending review operate dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, rispetto alle quali Giberti, nella veste di legale di GE (ma anche all’interno del Comitato dei legali di Assobiomedica) si muove in maniera attiva per difendere il business. La gran parte del tempo del dipartimento legale viene spesa così su tematiche di diritto ammi­nistrativo: gare di appalto, interpretazioni di capitolati, contestazioni, diffide, ricorsi ammi­nistrativi al Tar e al Consiglio di Stato, esposti all’Autorità di Vigilanza per contratti pubbli­ci, e tematiche Antitrust. In misura minore ci sono gli aspetti commerciali, riferiti prevalen­temente alla contrattualistica ( per la maggior parte ormai standardizzata, relativamente alla retribuzione di agenzia, alla consulenza con i professionisti sanitari, alla valutazione clinica dei prodotti), a rapporti con terze parti (agenti o distributori), compliance e 231, senza dimen­ticare il diritto societario, con le operazioni straordinarie che in questi anni hanno fatto comunque capolino nel percorso di sviluppo di GE Healthcare. « Io cerco di internalizzare il più possibile, l’esternalizzazione è relativa » ci dice Giberti. « Io e i miei colleghi entriamo sovente nel merito della stesura dell’eventuale ricorso al Tar o dell’eventuale memoria difen­siva in quanto si tratta di tematiche molto tec­niche che i legali esterni non conoscono o non comprendono immediatamente ». Questo porta la società Usa ad avere pochi rapporti e molto consolidati con professionisti esperti. I motivi sono evidenti: razionalizzazioni di costi, cono­scenza delle tematiche legali e delle dinamiche del business da parte del consulente, che grazie al rapporto continuativo nel tempo è divenu­to pratico della materia, e ultimo, ma non per questo meno importante, il rapporto persona­le. « Non mi piace avere troppi interlocutori, cerco la fidelizzazione e voglio che l’avvocato esterno si senta un po’ parte della società e dei suoi destini », dichiara Giberti.

Questa impostazione si riflette anche sui costi. Benché non ci sia stato finora un taglio dei bud­get, c’è però una chiara linea guida che proviene dall’headquarter europeo sulla riduzione dei co­sti per i legali, che si traduce in un forte moni­toraggio sulle spese delle varie filiali. Alla fine dell’anno, dopo aver analizzato ciò che è stato speso, si cerca per l’anno a venire di spendere di meno. Operativamente lo stesso Giberti dichiara di trattare su tutto, concordando quasi sempre con studi esterni un onorario a forfait dopo aver presentato la tematica al professionista, valutato la complessità e l’importanza che la questione riveste per la società. Quasi mai viene accettato il billing orario, sia reale che « presunto », vale a dire un forfait che venga palesemente determi­nato dalla mera somma delle ore che il legale esterno presume di impiegare nella pratica. « In generale lo studio legale esterno lo utilizzo per il contenzioso ( per esempio gare d’appalto, conten­zioso in materia di contenimento di budget sani­tari) – ci dice il General counsel di GE – tranne nel caso in cui è richiesta una competenza molto specifica, quindi il supporto di un legale di nic­chia esperto di quella particolare tematica. Ad esempio, per quanto riguarda lo stragiudiziale su tematiche specifiche quali quelle farmaceutico­regolatorie o le tematiche ambientali. Ho una buona conoscenza degli studi legali esperti in te­matiche healthcare, e di solito non faccio beauty contest perché è un settore in cui ci sono pochi realmente esperti in Italia; personalmente ne conto quattro o cinque al massimo. Decido auto­nomamente sulla base delle esperienze passate, del rapporto, della fidelizzazione, e tendo sempre a fare discorsi a lungo termine ».

A questo proposito Giberti si dichiara « un po’ anarchico, un battitore libero» nella gestione del lavoro, un’inclinazione che lo ha favorito nelle sue esperienze in multinazionali (oltre a GE, ha lavorato in Basell – joint venture di Basf e Shell – e in Shering Plough), e che al contrario ha do­vuto limitare nella sua breve esperienza in Hel­sinn Healthcare, un piccola impresa padronale svizzera del mercato biomedicale. Qui, seppur apprezzando i vantaggi di lavorare a livello di he­adquarter, nella stanza dei bottoni, doveva con­frontarsi quotidianamente con la proprietà, cioè una famiglia che ricopriva contestualmente tutti i ruoli del management. Oggi invece, sebbene i rapporti con l’Ad siano costanti, Giberti riporta al quartier generale europeo basato a Parigi (che a sua volta riporta all’headquarter mondiale in Inghilterra) gestendo, oltre all’Italia, anche le attività di Spagna e Portogallo (attraverso un le­gale locale), Israele (tramite uno studio esterno) e Malta. Healthcare è solo una delle divisioni di business di GE, e ognuna è una multinazionale a se stante, con limitati rapporti anche per quanto riguarda il settore legale. A Firenze, ad esempio, è presente l’headquarter mondiale di GE Oil & Gas, ma con i legali basati in Toscana Giberti non ha legami, se non nell’ambito di un Italian Legal Council che vede riunioni di aggiornamen­to e di condivisione con cadenza trimestrale.

Chissà se è capitato allora in una di queste occasioni lo scambio di vedute sui pareri dei legali esterni che il responsabile legale di GE Healthcare ci riporta: « Molto spesso alcuni colleghi dicono: io mi faccio fare un parere così se alcuni mi contestano quello che ho det­to posso rispondere: me l’ha detto l’avvocato esterno. Io dico: lo puoi fare se trovi un parere che ti dica realmente quello che devi fare. Ma questo è in fondo, come detto prima, il nostro mestiere: manager che si devono assumere re­sponsabilità all’interno dell’azienda ».


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