Vendite on-line e diritto antitrust

07-07-2014

Vendite on-line e diritto antitrust

ANTITRUST AND CONSUMER LAW BRIEFING
n. 2 del 20 giugno 2014

VENDITE ON-LINE E ANTITRUST: 
RECENTI SVILUPPI IN EUROPA E IN ITALIA

(I) Premessa

Il sempre più diffuso ricorso al canale on-line nella distribuzione di beni e servizi contribuisce significativamente alla riduzione dei costi e ad una maggiore concorrenza a tutti i livelli, nella misura in cui i consumatori hanno la possibilità di comparare con maggiore facilità le offerte disponibili sul mercato e quindi acquistare il prodotto desiderato alle migliori condizioni.

A distanza di quattro anni dall’entrata in vigore del novellato Regolamento europeo di esenzione per categoria e delle linee guida sulle restrizioni verticali, è difficile dire se gli spunti chiarificatori della Commissione europea in materia di distribuzione on-line abbiano risolto le questioni più controverse di un settore in continua e rapida evoluzione. 

Secondo la Commissione, alcune specifiche restrizioni delle vendite on-line producono, con un’elevata probabilità, effetti negativi sulla concorrenza (cd. restrizioni fondamentali) e quindi, per quanto sia sempre possibile dimostrare il contrario, comportano un alto rischio di invalidità o, nei casi più gravi, di intervento delle autorità di concorrenza. In particolare, le linee guida considerano restrizioni fondamentali: i) il blocco dell’accesso ai siti web o il re-indirizzamento automatico per i clienti localizzati al di fuori del territorio assegnato; ii) l’interruzione del processo di acquisto se effettuato con carte di credito non emesse nel territorio del distributore; iii) l’imposizione di un tetto alla percentuale di vendite on-line complessive (fatta eccezione per la richiesta di un quantitativo minimo di vendite offline); o ancora iv) richiedere il pagamento di un prezzo più elevato per i prodotti da vendere on-line (fatta eccezione per la richiesta di un ammontare fisso per sostenere i servizi offerti dai negozi tradizionali). 

Queste specifiche restrizioni per il canale on-line costituiscono una declinazione del divieto di vendite passive (vale a dire, non sollecitate), che si applica a tutti i rapporti di distribuzione: tra di esse figurano anche la fissazione dei prezzi di rivendita e i divieti di rivendita, fatta eccezione per i sistemi di distribuzione selettiva, di solito utilizzati per i prodotti di marca o di lusso.    

Nel prosieguo si affronteranno due importanti tematiche che emergono dalla recente casistica europea in tema di vendite on-line: (i) le restrizioni che i produttori di beni di marca cercano di imporre in relazione alle vendite on-line dei loro distributori; (ii) i tentativi che i fornitori pongono in essere per fissare, influenzare o comunque controllare i prezzi di rivendita dei distributori. 


(II) Vendite on-line di prodotti di marca

Il principio cardine del sistema, che è stato anche ribadito recentemente dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso Pierre Fabre, è che ogni obbligo, anche di fatto, volto a proibire l’utilizzo di internet, è considerato in via presuntiva una violazione del diritto antitrust (tranne rare eccezioni, come ad esempio nel caso di un divieto totale di vendite attive e passive, anche on-line, laddove tale divieto sia strettamente necessario a che un distributore che per primo si impegna a vendere un nuovo marchio o a vendere un marchio esistente su un nuovo mercato possa recuperare il costo degli investimenti per avviare e/o sviluppare tale nuovo mercato). 

In materia di vendite on-line, la Commissione riconosce, ad alcune condizioni, la possibilità per i fornitori di contrastare fenomeni di possibile free riding da parte dei venditori on-line, ad esempio, in relazione agli investimenti specifici che i produttori di beni di marca effettuano direttamente o chiedono di effettuare ai propri distributori. E’ questo il tipico caso degli investimenti in marketing o per i servizi pre- e post-vendita forniti ai clienti presso i punti vendita. 

Ancora, le linee guida delle Commissione chiariscono che i produttori possono pretendere che i siti di vendita on-line rispettino determinati standard di qualità, ad esempio nel caso dei prodotti di lusso o in genere quelli di marca. Al riguardo, nella casistica francese sono state considerate accettabili tutte quelle prescrizioni relative al “look-and-feel”, cioè all’aspetto grafico del sito web, così come quelle limitazioni volte a proibire l’accesso ad un determinato sito tramite una piattaforma on-line di terzi. 

Non è tuttavia chiaro se sia consentito di impedire il ricorso a specifiche forme di vendite on-line (aste, piuttosto che vendite tradizionali) o l’utilizzo di determinate piattaforme (ad es. eBay o Amazon solo per citare quelle più note), perché ritenute dal fornitore dannose per l’immagine del prodotto. 

La questione è stata al centro di diversi casi in Germania. L’approccio che si sta affermando è nel senso di ritenere che la limitazione dell’utilizzo di specifice piattaforme on-line sia di norma una restrizione illegittima, come ha stabilito recentemente la Corte d’Appello di Berlino in un caso relativo ad  una nota marca di zaini da scuola. Nello stesso senso, anche l’autorità antitrust tedesca ha ritenuto illegittimo il divieto di effettuare vendite su piattaforme on-line quali eBay o Amazon imposto, rispettivamente, da un produttore di scarpe sportive e da un produttore di apparecchiature elettroniche ai propri distributori autorizzati. 

Sulla questione si attende di conoscere la posizione che verrà adottata dalla Commissione europea nell’indagine relativa agli accordi di distribuzione di alcune aziende produttrici di apparecchiature elettroniche e di piccoli elettrodomestici. Nell’annunciare l’avvio dell’indagine, la Commissione ha affermato che queste imprese avrebbero limitato in modo illegittimo le vendite on-line da parte dei propri distributori, ad esempio limitando la disponibilità dei prodotti su alcuni canali di vendita on-line.

Un ulteriore problema che i produttori di beni di marca devono affrontare è collegato all’utilizzo della pubblicità on-line da parte dei distributori, nella misura in cui l’utilizzo della pubblicità on-line possa mettere in discussione i sistemi di distribuzione “chiusa” (ad es., le esclusive territoriali o i sistemi di distribuzione che fanno ricorso ad una rete di distributori autorizzati).

La Commissione ha chiarito che la pubblicità on-line “mirata”, cioè specificamente indirizzata a determinati clienti (ad es. i link “sponsorizzati” sui motori di ricerca, i banner o altri annunci on-line indirizzati a determinate categorie di utenti o a quelli localizzati in un particolare territorio) costituisce una forma di “vendita attiva” e come tale può essere oggetto di restrizioni da parte del fornitore. 

Ad esempio, nell’ambito di in un sistema di distribuzione esclusiva, i fornitori possono vietare ai distributori di vendere attivamente al di fuori del loro territorio o ai clienti loro assegnati, e a tal fine è consentito limitare il ricorso alla pubblicità on-line che sia diretta al di fuori del territorio assegnato in via esclusiva o ad altra categoria di utenti. 

Al contrario, in un sistema di distribuzione selettiva, in linea di principio, i fornitori non possono limitare né le vendite attive né quelle passive agli utenti finali da parte di distributori al dettaglio. Per questo, ai rivenditori on-line che fanno parte di un sistema di distribuzione selettiva, non può essere vietato di acquistare link sponsorizzati sui motori di ricerca, né altri tipi di pubblicità on-line, anche se gli annunci sono indirizzati specificamente a determinati clienti. Così, in un caso francese avente ad oggetto la commercializzazione dei cosmetici, i fornitori di prodotti per la cosmesi hanno dovuto rimuovere le clausole che proibivano l’uso dei loro rispettivi nomi e marchi quali parole chiave rilevanti per comparire tra i cd. risultati “naturali” dei motori di ricerca.


(III) Vendite on-line e politiche di prezzo

Un’altra area particolarmente critica nell’ambito delle vendite on-line riguarda le politche di prezzo e i mezzi di controllo degli stessi. 

Come già accennato, per principio generale, l’imposizione dei prezzi di rivendita costituisce un restrizione fondamentale: in pratica, ai fornitori non è consentito fissare il prezzo (o stabilire un prezzo minimo) al quale i distributori possono rivendere i loro prodotti. Per diritto antitrust, ricadono in questa categoria tanto la fissazione “diretta” dei prezzi così come il ricorso a quelle pratiche che abbiano l’effeto anche indiretto di fissare il prezzo di vendita (minimo). 

Ad esempio, una recente decisione dell’autorità antitrust britannica ha accertato che il divieto imposto ai distributori di mezzi di mobilità per disabili di pubblicizzare gli sconti, e dunque gli effettivi prezzi di rivendita, è contrario alla normativa antitrust perché non consentirebbe ai consumatori di trovare offerte più convenienti e ai distributori più innovativi di attrarre un numero maggiore di clienti.

Sempre nell’ambito delle politiche di prezzo, l’autorità antitrust tedesca ha recentemente concluso due procedimenti nei confronti, rispettivamente, di un produttore di articoli da giardinaggio e di un produttore di elettrodomestici che avevano inteso limitare le vendite on-line dei propri prodotti, prevedendo prezzi diversi per il canale tradizionale e per quello on-line, di modo che solo i rivenditori tradizionali potessero beneficiare di prezzi più bassi. In entrambe i casi, l’autorità tedesca ha accolto gli impegni delle aziende di applicare il medesimo sconto a tutti i propri rivenditori a prescindere dal canale di vendita. Giova ricordare che, comunque, alla luce delle linee guida della Commissione, i produttori possono differenziare gli incentivi offerti ai propri distributori, ad esempio riconoscendo un compenso aggiuntivo per supportare gli sforzi profusi per effettuare vendite off-line.

I recenti casi nei settore delle prenotazioni di alberghi on-line (indagini parallele sono state avviate in Francia, Regno Unito, Germania, Svizzera, Svezia, Ungheria, e di recente anche dall’autorità antitrust italiana), degli eBooks e delle piattaforme di vendita riguardano, invece, la questione della legittimità della cd. clausola del cliente più favorito. In base a questa clausola, una parte del contratto garantisce all’altra le migliori condizioni applicate sul mercato. Questi casi, ancora in corso o da poco conclusi con impegni, denotano che l’analisi degli effetti di simili clausole nel contesto on-line è particolarmente complessa e dall’esito non affatto scontato. Basti pensare che già due autorità antitrust hanno raggiunto conclusioni parzialmente differenti. L’autorità tedesca ha ritenuto che la clausola del cliente più favorito violi la normativa antitrust, e ne ha quindi ordinato la rimozione dalle condizioni di contratto che il portale di prenotazioni alberghiere HRS imponeva ai propri partner commerciali (per altro, è in corso un’indagine simile nei confronti di Booking.com ed Expedia). Al contrario, l’autorità della concorrenza del Regno Unito ha adottato un approccio decisamente più soft, consentendo di fatto –almeno per il momento (la decisione è stata appellata)- ad operatori quali Expedia e Booking.com di applicare la clausola del cliente più favorito alle prenotazioni dei consumatori che non sono membri registrati dei cd. closed groups (cioè utenti registrati che abbiano effettuato almeno una prenotazione a prezzo pieno), limitando di fatto gli sconti e le offerte promozionali che gli alberghi possono offrire solamente ai membri dei closed groups

Per quanto riguarda l’esperienza italiana in materia di vendite online, si osserva che, mentre l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è molto attiva sul fronte delle pratiche commerciali scorrette, si segnalano solamente due procedimenti antitrust, per altro molto recenti.

Il primo di questi casi ha avuto ad oggetto le pratiche commerciali di un’azienda attiva nel mercato degli integratori alimentari, e a breve potrebbe chiudersi con una decisione che renderà vincolanti gli impegni presentati dalla società. 

Ad avviso dell’Autorità Garante, l’azienda avrebbe cercato di fissare i prezzi minimi di rivendita anche per i rivenditori on-line e di “compartimentare” i mercati. In particolare, le condotte contestate riguardavano gli inviti rivolti alla rete di rivenditori on-line a non oltrepassare una percentuale massima di sconto sulle vendite via internet e a non vendere i prodotti in lingua italiana al di fuori dei confini nazionali. Queste restrizioni, stando alla posizione dell’autorità, rientrerebbero tra quelle cd. fondamentali, che non possono dunque beneficiare della regola “de minimis” che sottrarrebbe l’accordo dal campo di applicazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Gli impegni al vaglio dell’Autorità Garante prevedono, tra l’altro, che l’impresa non dovrà influenzare in alcun modo, né direttamente né indirettamente, le politiche di prezzo praticate dai distributori al dettaglio, mentre i contratti con i concessionari saranno chiari nell’escludere limitazioni alle vendite passive, consentendo così ai distributori di effettuare anche vendite oltrefrontiera ove richieste.

Inoltre, sulla scia delle indagini avviate dalle altre autorità della concorrenza nazionali, l’Autorità Garante ha avviato un procedimento nel settore delle prenotazioni alberghiere on-line.

L’Autorità dovrà verificare, tra l’altro, la compatibilità con la normativa antitrust della clausola del cliente più favorito inserita nelle condizioni di contratto di Booking.com ed Expedia. Tale clausola imporrebbe alle strutture alberghiere che vogliono comparire sulle rispettive piattaforme di Booking.com e  di Expedia di non offrire i propri servizi a prezzi e condizioni migliori ad altre agenzie di prenotazione, e in generale su tutti i canali di prenotazione disponibili sia brick-and-mortar che on-line, ivi inclusi i siti web degli stessi alberghi. Oggetto di indagine è altresì l’applicazione della garanzia di prezzo migliore (Best Price Guarantee). In pratica, da un lato, si assicura il consumatore circa la convenienza dell’offerta rispetto ad altre presenti on-line; dall’altro, si impone alle strutture alberghiere di applicare la minore tariffa eventualmente riscontrata on-line, provvedendo al rimborso della differenza pagata dal consumatore. 

Ad avviso dell’Autorità Garante, queste clausole potrebbero comportare il sostanziale allineamento dei prezzi riducendo gli incentivi degli operatori alberghieri a farsi concorrenza, tenuto conto del fatto che il mancato rispetto delle stesse  inciderebbe negativamente sulla visibilità dell’offerta della struttura alberghiera interessata.

Come ricordato, casi simili sono attualmente sotto osservazione da parte di diverse autorità della concorrenza nazionali. Nella misura in cui la medesima restrizione verticale dovesse essere valutata in modo sostanzialmente diverso dalle autorità della concorrenza nazionali, ciò rischierebbe di minare la certezza del diritto e, in ultima analisi, sarebbe comunque pregiudizievole per le stesse società online che dovrebbero quindi adottare politiche commerciale differenti a seconda dei paesi a cui si rivolgono. Al riguardo, giova comunque ricordare che, secondo le linee guida della Commissione, la fissazione diretta o indiretta dei prezzi può essere resa più efficace in combinazione con misure volte a far sì che l’acquirente sia poco incentivato a ridurre il prezzo di rivendita, come nel caso della clausola del cliente più favorito. 


(IV) Brevi considerazioni conclusive

Ai lettori che abbiano anche una minima familiarità con la materia antitrust, quanto precede deve apparire come un déjà-vu. In effetti, la “tensione” che ha sempre caratterizzato i rapporti tra fornitori e distributori si sta semplicemente trasferendo al canale on-line. 

È chiaro quindi che, nel tentativo di “imbrigliare” la forza dirompente delle vendite on-line, potranno osservarsi pratiche grossolane o, all’opposto, anche molto sofisticate per controllare la distribuzione on-line di beni e servizi, come accaduto in passato con l’imporsi di nuovi e più efficienti canali di vendita. 

Esaminando la casistica, è evidente che l’autorità francese e quella tedesca sono state tra le più attive fino ad oggi; altre, tra cui, quella italiana, hanno di recente cominciato a nutrire interesse verso le pratiche puramente verticali, tra cui rientra la distribuzione on-line. 

Sarebbe auspicabile un approccio coerente delle diverse autorità nazionali della concorrenza verso le varie tipologie di restrizioni delle vendite on-line, in modo da creare un level playing field effettivo e concorrenziale all’interno dell’Unione europea.

Per ulteriori informazioni sulla tematica delle vendite on-line si invita a contattare gli avv.ti Gabriele Accardo (gaccardo@dandria.com) e Gennaro d’Andria (gdandria@dandria.com)

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