Banking & Finance

VINCONO GLI INTERNAZIONALI

L’uscita di Castorino da d’Urso costituisce l’ennesimo lateral di banking & finance a vantaggio di insegne internazionali che agguantano i principali protagonisti e mandati del settore. Mentre gli italiani potrebbero trasformarsi in intermediari tra clienti domestici e law firm senza sede nel Belpaese.

20-01-2015

VINCONO GLI INTERNAZIONALI

La crisi finanziaria del 2008, i vincoli imposti da Basilea 3, la stretta ai rubi­netti creditizi e la conseguente disintermediazione bancaria, at­traverso uno spostamento senza precedenti della raccolta di debi­to dalle banche al mercato. Sono tutti ingredienti che hanno con­tribuito a ridelineare i contorni del settore banking & finance in Italia, così come del lavoro dei consulenti specializzati. E, a giu­dicare dai venti soffiati a partire dal 2012, il vantaggio competiti­vo degli studi internazionali nel settore appare netto.

A fornire un primo indicato­re importante in merito è l’ana­lisi dei passaggi più significativi avvenuti nel mercato italiano. A partire dal 1° gennaio 2012, tutti i cambiamenti più rilevan­ti nella scacchiera del banking & finance tricolore se li sono giocati gli studi internaziona­li, fatta eccezione per il lateral messo a segno da Gattai Minoli, che in settembre si è assicurato l’ingresso in studio da Latham & Watkins di Riccardo Agostinelli.

Prima di Agostinelli, bisogna arrivare al 2009 per rintracciare uno spostamento di peso da un internazionale a un nazionale, quando Maura Magioncalda lascia Ashurst per entrare in Pedersoli, dove tutt’oggi si occupa di restructu­ring finance. Ma lo spostamen­to di Agostinelli e Magioncalda rappresentano l’eccezione che conferma la regola: le insegne italiane sembrano rimaste ai margini della partita in cui si gioca la fortuna di studi e pro­fessionisti del settore. 

I precedenti 
Ultimo italiano in ordine temporale a patire un’uscita nel settore è d’Urso Gatti e Bianchi, che in ottobre perde Giancarlo Castorino, entrato in King & Wood Mallesons Sj Berwin con un team di quattro professionisti. Guardando in­vece ai lateral di peso nel trien­nio in esame, tra i protagoni­sti Dla Piper, che si assicura Francesco Novelli, uscito da Grimaldi, nonché Michael Bosco, proveniente da Shearman & Sterling. Mentre Shearman mette a segno il passaggio di Valerio Fontanesi, che torna in un’insegna internazionale (aveva già militato in Dewey & LeBoeuf), dopo una brevissima parentesi nell’italiano Grimal­di; Linklaters aggiunge alle sue fila Alessandro Villaniproveniente da Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners.

Il trend di netta prevalenza di passaggi di peso in favore di studi internazionali, anche se recentemente è diventato più incalzante, affonda le radici in un passato ben più lontano. Tra i primi lateral di peso storici, vi è l’esperto di project finance Franco Vigliano, che esce da Chiomenti per approdare in Allen & Overy nel 2001. Solo per citare alcuni esempi successivi, Andrea Arosio e Dario Longodopo essere approdati in Peder­soli da Allen & Overy, nel 2007 ritornano in una law firm magic circle fondando la squadra ita­liana di Linklaters, a cui dopo brevissimo si aggiunge Claudia Parzani, proveniente da Cba. E, sempre nel 2007, Andrea Novarese non ha paura di lasciare il consolidato team di Bonelli Erede Pappalardo per confluire nell’allora neocostituto Latham & Watkins, sotto la guida di Michael Immordino, il quale nel 2011 lascerà l’insegna sta­tunitense in favore di un altro americano, il ricostituito ufficio italiano di White & Case. Men­tre Immordino e Bosco hanno fatto un passaggio tutto inter­nazionale tra studi di matrice statunitense, altri due pesi del mercato si sono mossi, invece, nell’ambito di insegne britanni­che: Davide Mencacci si sposta da Allen & Overy a Linklaters, e Marco Franzini da Simmons & Simmons a Eversheds

Nuovi spazi: minibond e high yield 
A tirar le somme, si può dire che – nonostante ci sia stato un bre­ve periodo in cui alcune bouti­que italiane (Mbl, Pedersoli, d’Urso Gatti e Bianchi) han­no tentato di posizionarsi sul banking & finance – da quando le insegne internazionali hanno fatto la loro comparsa in Italia, sono diventate sempre di più la destinazione prediletta dei principali protagonisti del set­tore. Il motivo sembra essere abbastanza semplice: i clienti finanziari prescelgono studi che rispecchino le loro prassi e parlino la loro stessa lingua. E, come noto, l’hub finanziario europeo è Londra. Non stupi­sce, quindi, la fortuna avuta dagli studi inglesi e dagli ameri­cani come advisor delle banche.

Tuttavia, oggi la predilezione per gli studi internazionali ap­pare più netta. A dispetto di un settore come il banking & fi­nance che più di altri ha subito le pressioni di un mercato ita­liano in crisi, le law firm estere, anziché mollare la presa, sono riuscite a cavalcare al meglio la nuova congiuntura, diventando consulenti non soltanto delle banche, ma anche delle socie­tà tradizionalmente affiancate dalle insegne italiane.

La ragione è sempre la stes­sa: l’offerta messa in campo dagli internazionali risponde meglio alle esigenze di una domanda sempre più selettiva. Le operazioni di finanziamen­to di maggiore rilevanza sono, salvo poche eccezioni, rette dal diritto inglese, al fine di facilitare la sindacazione sul mercato internazionale. Va di conseguenza, quindi, un van­taggio competitivo degli studi internazionali su questo tipo di operazioni. Inoltre, con l’af­facciarsi sul mercato italiano di soggetti non bancari (fondi e assicurazioni) attivi nel mer­cato high yield (alto rischio in cambio di alto rendimento) e regolato dalla legge america­na, il vantaggio competitivo delle law firm statunitensi è diventato a doppia cifra. A fare la parte da leone sugli high yield sono Latham & Watkins, Shearman & Sterling e White & Case. A Shearman va anche il primato di aver seguito nel 2014 il primo collocamento di obbligazioni high yield da par­te di una società cooperativa, la Cooperativa Muratori e Ce­mentisti di Ravenna.

Sarebbe sbagliato, però, pensare che il mercato del debito si esaurisca negli high yield. Così come sarebbe er­roneo dire che gli studi inter­nazionali siano presenti esclu­sivamente in questo settore. Inglesi e americani, infatti, hanno fatto incursione anche in altri fronti caldi del nuovo mercato del banking & finance italiano. La torta italiana dei buyback di debito è stata spar­tita tra Allen & Overy, Clif­ford Chance e l’italiano Riolo Calderaro Crisostomo, che es­sendo nato da uno spin off di Clifford Chance porta nei geni un approccio internazionale. Mentre Linklaters è riuscito ad agganciarsi sul redditizio fronte del restructuring finan­ce. Ashurst da parte sua ha affiancato 2i Rete Gas in uno dei più grandi rifinanziamen­ti ibridi – effettuati con una combinazione di debito ban­cario e ricorso al mercato dei capitali – sul mercato italiano, che ha rappresentato anche il primo bond nel settore della distribuzione del gas emesso da una società non quotata.

Rimanendo in tema di socie­tà non quotate, è sempre uno studio internazionale, Orrick, che meglio di tutti ha sfruttato le possibilità offerte dal Decreto Crescita che, agendo sulla leva fiscale, ha creato di fatto un nuovo mercato dei capitali nella forma dei minibond, obbliga­zioni delle società non presenti sul listino di Borsa italiana. E la fortuna di Orrick, così come de­gli altri studi internazionali che sono riusciti a mettere un piede in questo nuovo mercato, po­trebbe aumentare se si rivelasse concreta la proposta avanzata dal ministro Pier Carlo Padoan di creare un mercato europeo dei minibond. Mentre la fortu­na degli internazionali sembra destinata a crescere, non stupi­rebbe se quella degli indipen­denti, di norma in sofferenza nelle operazioni cross border, dovesse continuare a diminuire.

In questo senso, risulta in­teressante la mossa messa a segno dalla boutique Giliberti Pappalettera Triscornia, che ha cercato una best friendship con Weil Gotshal & Manges, insegna americana specializ­zata nel banking e restructu­ring. Una mossa che potrebbe tracciare una nuova strada per gli italiani: se è difficile rimanere sul mercato come fornitori diretti del servizio, si potrebbero cercare margini di profitto facendo da interme­diari tra clienti e advisor esteri. Così, lo studio italiano diven­terebbe una sorta di cinghia di trasmissione, o subfornitore di servizi a minor tasso di com­plessità, tra il cliente italico e quegli studi esteri non dotati di una sede nel Belpaese.

Ennesimo indicatore che, nel­la partita del banking & finance, il risultato appare ormai scritto. E sembrano destinati a vincere gli studi internazionali. 


TOPLEGAL DIGITAL

Scopri TopLegal Digital, nuova panoramica sull’attualità del mondo legal, finance e aziendale

 

Sfoglia la tua rivista gratuitamente


TopLegal Digital
ENTRA