Il 2008 mette a dura prova il mercato, e non solo quello legale. È l’anno del crac Lehman, della ( prima) crisi Alitalia e di fusioni e colassi che riguardano gli studi legali. Nel 2008 Apollo e associati confluisce in Dla Piper, Vita Samory Fabbrini implode spaccandosi in tre, mentre White & Case compie una ritirata strategica dall’Italia ( gli americani riapriranno a Milano tre anni dopo). Tra i protagonisti delle aggregazioni vi sono due strutture federali, Lexjus e Sinacta, che contano oltre 250 professionisti tra avvocati e commercialisti. Ma non è l’unica fusione tax e legal dell’anno. Proprio nel momento in cui a livello mondiale scoppia la crisi finanziaria più pesante della storia, il più grande studio tributario e legale italiano si prepara ad assorbire una prestigiosa boutique in difficoltà. L’integrazione tra Pirola Pennuto Zei, che annovera 380 commercialisti e 80 avvocati per un fatturato di 90 milioni di euro, e Agnoli Bernardi che conta 80 professionisti e ricavi per 15 milioni, darà vita a una realtà che si colloca tra le prime tre law firm d’Italia, piazzandosi per fatturato subito alle spalle degli studi Bonelli Erede Pappalardo e Chiomenti.
Il progetto di creare un colosso one-stop-shop da 500 professionisti appartiene al ragionier Giuseppe Pirola, numero uno dello studio Pirola Pennuto Zei un tempo legato a Pwc in Italia. Un « visionario», come lui stesso ama definirsi, che «in una notte insonne del 1991» viene folgorato dal pensiero che le professioni del futuro avrebbero preso corpo sul modello anglosassone e non su quello latino. In quel momento Pirola intuisce che la consulenza fiscale va scindendosi in due: da una parte, il lavoro ordinario sempre più appannaggio dei contabili; dall’altra la consulenza strategica e la strutturazione delle operazioni straordinarie, dominio incontestato degli avvocati fiscalisti. A farne le spese, la figura del dottore commercialista per cui il mercato non avrebbe più posto.
La fusione tra Pirola Pennuto Zei e Agnoli Bernardi – costituitosi come spinoff da Pavia e Ansaldo nel 2005 – si deve a un’idea lanciata già nel 1992. In quell’anno Pirola propone a Pavia e Ansaldo, a capo di cui c’è Marcello Agnoli, di integrare le rispettive strutture. Il progetto, poi accantonato per ben sedici anni, viene ripreso quando si interrompe ad inizio 2008 la collaborazione tra Agnoli Bernardi e i fiscalisti Di Tanno dopo l’intesa di quest’ultimo con Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners. Il matrimonio, celebrato l’ 8 settembre, è figlio di necessità. Pirola Pennuto Zei ambisce a diventare una law firm per conquistare fette di mercato. Per Agnoli Bernardi si tratterebbe, secondo la stampa « di rispondere alle incertezze dei mercati » , ma la fretta con cui si concludono le trattative è dovuta anche alla situazione finanziaria precaria dello studio con i conti appesantiti dai debiti.
All’inizio, le regole di convivenza tengono conto dei due statuti, ma a prevalere è quello di Pirola. L’associazione professionale resta divisa in associati fondatori (35), ordinari, anziani e giovani. Agnoli, avendo superato i 65 anni, è associato onorario; Bernardi, invece, entra nel Cda. Le regole dello statuto sono alla base di defezioni durante le settimane successive da parte dei soci di Agnoli Bernardi: quattro soci su 18 non aderiscono al patto. Anche se in una prima fase i due studi mantengono i marchi congiunti, prevale anche il nome di Pirola come marchio dopo la fusione. L’operazione ha tutto l’aspetto di un’incorporazione non una concentrazione tra pari.
Eppure, sulla carta le due realtà sembrano incastrarsi bene: Pirola è altamente consolidato sul manifatturiero e l’industria; Agnoli Bernardi è noto come boutique di diritto finanziario e private equity e porta in dote le practice di labour ed antitrust a Roma, nonché il Tmt. La nuova realtà si disloca in 11 sedi – Milano, Roma, Torino, Padova, Brescia, Napoli, Parma, Bologna, Verona, nonché, all’estero, a Londra e Pechino – e si prevede l’apertura di nuovi uffici nelle più rilevanti piazze finanziarie. E non mancano le ambizioni internazionali: si parla di sviluppi che riguardono gli Emirati arabi, la Russia, l’India.
Sin dall’inizio, comunque, il connubio sembra traballante. A pochi mesi dalla fusione, nel febbraio 2009, arrivano le prime due uscite: Renzo Cavalieri entra in Bonelli Erede Pappalardo; mentre Paolo Bianco diventa name partner dello studio Musy Bianco, affiancandosi all’ex Agnoli Bernardi Alberto Musy, socio della sede di Torino di Agnoli Bernardi, che ha già scelto l’indipendenza. Nel luglio dello stesso anno tocca a Carlo Navone e Frank Diemer: il primo entra in Agnoli Giuggioli (realtà fondata dalla figlia di Agnoli, Caterina); Diemer entra in Orrick. Ha vita più lunga, ma non di molto, la coabitazione tra i marchi Pirola Pennuto Zei e Agnoli Bernardi. Dal 15 gennaio 2011 l’insegna torna ad essere Pirola Pennuto Zei & associati. E le defezioni degli ex Agnoli Bernardi ricominciano. In aprile, Francesco Arecco passa in qualità di senior associate a Baker & McKenzie. In maggio, Luciano Vasques entra come socio in Agnoli Giuggioli.
Poco più di tre anni dopo l’accordo circola la notizia dell’uscita dallo studio di uno dei promotori dell’unione, Marcello Agnoli, per approdare in Agnoli Giuggioli. Il passaggio avviene il 1 luglio 2012. «Una scelta del tutto condivisa e messa in preventivo già al momento della fusione, quando si decise per l’ingresso di Marcello come socio onorario e non come socio equity », spiega Giuseppe Pirola in un’intervista a TopLegal nel 2012. « Quello che si è consumato non è un divorzio né una separazione, ma il normale percorso di chi, giunto a 72 anni, ha deciso di mettere la sua esperienza a disposizione dello studio fondato dalla figlia. Un’uscita senza drammi o sensazionalismi, ma dettata dalle regole del nostro statuto, che prevedono totale fedeltà e abnegazione al cento per cento ».
Sebbene l’uscita di Agnoli sia consensuale, l’operazione strategica di Pirola non raggiunge il risultati prefissati. I rinforzi annunciati all’indomani della fusione, nei settori di diritto europeo e antitrust, private equity, diritto bancario e contenzioso, rimangono disattesi. Lo studio predilige la crescita interna che premia soprattutto i dottori commercialisti. Anche sul fronte internazionale, a beneficiare di una politica di espansione è stata la sola practice cinese: dopo i rinforzi alla sede di Beijing, lo studio sbarca anche a Shanghai, l’unico nuovo ufficio che fa accrescere la propria presenza all’estero.
Pirola ha costruito vent’anni di fortuna su un’insegna in cui l’equilibrio tra consulenza legale e attività fiscale e tributaria ha sempre favorito l’anima fiscale. Con l’assimilazione di Agnoli Bernardi, si tenta di rafforzare il posizionamento di Pirola Pennuto Zei sul versante dell’area legale ma l’anima tax rimane di gran lunga preponderante con una netta prevalenza di commercialisti, sempre più in sella nello studio. E come ammette lo stesso Pirola nell’intervista già citata: « In studio sono i fiscalisti che portano lavoro agli avvocati, perche il legal è ancora troppo giovane ». A rendere difficile il raggiungimento della parità fra le due strutture, la crisi che si abbatte da subito sui settori finanziario e private equity, due practice di punta di Agnoli Bernardi che subiscono uno sconvolgimento a partire dal 2008. Infine, i punti di riferimento di mercato che contraddistinguono l’ex squadra Agnoli Bernardi rimangono lontani dai servizi e clienti che orientano l’attività di un gruppo come Pirola Pennuto Zei, uscito da una grande società di revisione, rendendo difficile la costruzione di sinergie.
In un settore povero di progettualità e in cui abbondano vecchie convinzioni, la prospettiva di Pirola spicca per la sua capacità di anticipare le sollecitazioni in arrivo dal mercato. Rimane incompiuta tuttavia la conquista del modello idoneo a superare la difficile convivenza tra tax e legal. Per l’insegna a doppia anima servono nuove riflessioni.
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