Succedeva: settembre 2008

VISIONE DI UNA NOTTE INSONNE

Con la sua incorporazione di Agnoli Bernardi, Pirola Pennuto Zei tenta la conquista del mercato italiano. Ma il progetto per unire fiscalisti e avvocati metterà in rilievo la distanza incolmabile tra tax e legal

02-09-2014

VISIONE DI UNA NOTTE INSONNE

Il 2008 mette a dura prova il mercato, e non solo quel­lo legale. È l’anno del crac Lehman, della ( prima) cri­si Alitalia e di fusioni e co­lassi che riguardano gli studi le­gali. Nel 2008 Apollo e associati confluisce in Dla Piper, Vita Samory Fabbrini implode spac­candosi in tre, mentre White & Case compie una ritirata stra­tegica dall’Italia ( gli americani riapriranno a Milano tre anni dopo). Tra i protagonisti delle aggregazioni vi sono due strut­ture federali, Lexjus e Sinacta, che contano oltre 250 professio­nisti tra avvocati e commercia­listi. Ma non è l’unica fusione tax e legal dell’anno. Proprio nel momento in cui a livello mon­diale scoppia la crisi finanziaria più pesante della storia, il più grande studio tributario e legale italiano si prepara ad assorbire una prestigiosa boutique in dif­ficoltà. L’integrazione tra Pirola Pennuto Zei, che annovera 380 commercialisti e 80 avvocati per un fatturato di 90 milioni di euro, e Agnoli Bernardi che conta 80 professionisti e ricavi per 15 milioni, darà vita a una realtà che si colloca tra le prime tre law firm d’Italia, piazzando­si per fatturato subito alle spalle degli studi Bonelli Erede Pappalardo e Chiomenti.

Il progetto di creare un colos­so one-stop-shop da 500 profes­sionisti appartiene al ragionier Giuseppe Pirola, numero uno dello studio Pirola Pennuto Zei un tempo legato a Pwc in Italia. Un « visionario», come lui stesso ama definirsi, che «in una notte insonne del 1991» viene folgo­rato dal pensiero che le profes­sioni del futuro avrebbero preso corpo sul modello anglosassone e non su quello latino. In quel momento Pirola intuisce che la consulenza fiscale va scindendo­si in due: da una parte, il lavoro ordinario sempre più appan­naggio dei contabili; dall’altra la consulenza strategica e la strut­turazione delle operazioni stra­ordinarie, dominio incontestato degli avvocati fiscalisti. A farne le spese, la figura del dottore commercialista per cui il merca­to non avrebbe più posto.

La fusione tra Pirola Pennuto Zei e Agnoli Bernardi – costitui­tosi come spinoff da Pavia e Ansaldo nel 2005 – si deve a un’idea lanciata già nel 1992. In quell’an­no Pirola propone a Pavia e An­saldo, a capo di cui c’è Marcello Agnoli, di integrare le rispettive strutture. Il progetto, poi accan­tonato per ben sedici anni, viene ripreso quando si interrompe ad inizio 2008 la collaborazione tra Agnoli Bernardi e i fiscalisti Di Tanno dopo l’intesa di quest’ul­timo con Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners. Il matrimonio, celebrato l’ 8 settembre, è figlio di necessità. Pirola Pennuto Zei ambisce a diventare una law firm per conquistare fette di mercato. Per Agnoli Bernardi si tratte­rebbe, secondo la stampa « di rispondere alle incertezze dei mercati » , ma la fretta con cui si concludono le trattative è dovuta anche alla situazione finanziaria precaria dello studio con i conti appesantiti dai debiti.

All’inizio, le regole di con­vivenza tengono conto dei due statuti, ma a prevalere è quello di Pirola. L’associazione profes­sionale resta divisa in associati fondatori (35), ordinari, anziani e giovani. Agnoli, avendo supe­rato i 65 anni, è associato ono­rario; Bernardi, invece, entra nel Cda. Le regole dello statuto sono alla base di defezioni du­rante le settimane successive da parte dei soci di Agnoli Ber­nardi: quattro soci su 18 non aderiscono al patto. Anche se in una prima fase i due studi man­tengono i marchi congiunti, prevale anche il nome di Pirola come marchio dopo la fusione. L’operazione ha tutto l’aspetto di un’incorporazione non una concentrazione tra pari.

Eppure, sulla carta le due re­altà sembrano incastrarsi bene: Pirola è altamente consolidato sul manifatturiero e l’industria; Agnoli Bernardi è noto come boutique di diritto finanziario e private equity e porta in dote le practice di labour ed antitrust a Roma, nonché il Tmt. La nuova realtà si disloca in 11 sedi – Mi­lano, Roma, Torino, Padova, Brescia, Napoli, Parma, Bolo­gna, Verona, nonché, all’estero, a Londra e Pechino – e si pre­vede l’apertura di nuovi uffici nelle più rilevanti piazze finan­ziarie. E non mancano le am­bizioni internazionali: si parla di sviluppi che riguardono gli Emirati arabi, la Russia, l’India.

Sin dall’inizio, comunque, il connubio sembra traballante. A pochi mesi dalla fusione, nel febbraio 2009, arrivano le pri­me due uscite: Renzo Cavalieri entra in Bonelli Erede Pappa­lardo; mentre Paolo Bianco diventa name partner dello stu­dio Musy Bianco, affiancandosi all’ex Agnoli Bernardi Alberto Musy, socio della sede di Tori­no di Agnoli Bernardi, che ha già scelto l’indipendenza. Nel luglio dello stesso anno tocca a Carlo Navone e Frank Diemer: il primo entra in Agnoli Giuggioli (realtà fondata dalla figlia di Agnoli, Caterina); Di­emer entra in Orrick. Ha vita più lunga, ma non di molto, la coabitazione tra i marchi Pirola Pennuto Zei e Agnoli Bernardi. Dal 15 gennaio 2011 l’insegna torna ad essere Pirola Pennuto Zei & associati. E le defezioni degli ex Agnoli Bernardi rico­minciano. In aprile, Francesco Arecco passa in qualità di senior associate a Baker & McKenzie. In maggio, Luciano Vasques entra come socio in Agnoli Giuggioli.

Poco più di tre anni dopo l’accordo circola la notizia dell’uscita dallo studio di uno dei promotori dell’unione, Marcello Agnoli, per approda­re in Agnoli Giuggioli. Il pas­saggio avviene il 1 luglio 2012. «Una scelta del tutto condivi­sa e messa in preventivo già al momento della fusione, quando si decise per l’ingresso di Mar­cello come socio onorario e non come socio equity », spiega Giuseppe Pirola in un’intervista a TopLegal nel 2012. « Quello che si è consumato non è un divor­zio né una separazione, ma il normale percorso di chi, giunto a 72 anni, ha deciso di mettere la sua esperienza a disposizione dello studio fondato dalla figlia. Un’uscita senza drammi o sen­sazionalismi, ma dettata dalle regole del nostro statuto, che prevedono totale fedeltà e ab­negazione al cento per cento ».

Sebbene l’uscita di Agnoli sia consensuale, l’operazione stra­tegica di Pirola non raggiunge il risultati prefissati. I rinforzi annunciati all’indomani della fusione, nei settori di diritto europeo e antitrust, private equity, diritto bancario e con­tenzioso, rimangono disattesi. Lo studio predilige la crescita interna che premia soprattutto i dottori commercialisti. An­che sul fronte internazionale, a beneficiare di una politica di espansione è stata la sola prac­tice cinese: dopo i rinforzi alla sede di Beijing, lo studio sbarca anche a Shanghai, l’unico nuo­vo ufficio che fa accrescere la propria presenza all’estero.

Pirola ha costruito vent’an­ni di fortuna su un’insegna in cui l’equilibrio tra consulenza legale e attività fiscale e tribu­taria ha sempre favorito l’ani­ma fiscale. Con l’assimilazione di Agnoli Bernardi, si tenta di rafforzare il posizionamento di Pirola Pennuto Zei sul ver­sante dell’area legale ma l’ani­ma tax rimane di gran lunga preponderante con una netta prevalenza di commercialisti, sempre più in sella nello stu­dio. E come ammette lo stesso Pirola nell’intervista già citata: « In studio sono i fiscalisti che portano lavoro agli avvocati, perche il legal è ancora troppo giovane ». A rendere difficile il raggiungimento della parità fra le due strutture, la crisi che si abbatte da subito sui settori finanziario e private equity, due practice di punta di Agno­li Bernardi che subiscono uno sconvolgimento a partire dal 2008. Infine, i punti di rife­rimento di mercato che con­traddistinguono l’ex squadra Agnoli Bernardi rimangono lontani dai servizi e clienti che orientano l’attività di un grup­po come Pirola Pennuto Zei, uscito da una grande società di revisione, rendendo difficile la costruzione di sinergie.

In un settore povero di pro­gettualità e in cui abbondano vecchie convinzioni, la pro­spettiva di Pirola spicca per la sua capacità di anticipare le sollecitazioni in arrivo dal mer­cato. Rimane incompiuta tut­tavia la conquista del modello idoneo a superare la difficile convivenza tra tax e legal. Per l’insegna a doppia anima ser­vono nuove riflessioni.

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