Vivere senza avvocati? Dibattito negli Usa

27-08-2009

Vi è mai capitato di leggere un cartello che avvisi: “togliere il bambino dal passeggino prima di chiuderlo”? Beh, negli Stati Uniti potrebbe capitarvi. Almeno, questo è quanto racconta Philip K. Howard nel suo ultimo libro, Life without lawyers. Liberating Americans from too much law, edito dalla W.W. Norton Company.
Howard, che oltre ad essere un autore di best-seller è avvocato e presidente dell'associazione Common Good (da lui stesso fondata per perorare le cause sostenute nei suoi libri), ripercorrendo una serie di casi giudiziari tra il grottesco e il mostruoso, si scaglia contro la rule of law a stelle e strisce che, interpretata dai giudici in modo troppo rigido e dagli avvocati come una fonte di risarcimenti e parcelle da lotteria, avrebbe ingessato la società americana, spegnendo quel “can-do spirit” che l'aveva resa grande e vitale. In sostanza gli Americani, secondo l'autore, nel timore di essere citati in giudizio per la più banale sciocchezza, sarebbero giunti al paradosso di non “fare più la cosa giusta”.
Howard puntella la sua tesi con una serie di racconti raccapriccianti. Come quello di un avvocato di Washington che avrebbe citato in giudizio una lavanderia coreana per avergli smarrito un paio di pantaloni. La cifra richiesta? Appena 54 milioni di dollari. Risarcimento risolto, dopo due anni, con la chiusura della lavanderia, mandata in bancarotta da 100mila dollari di spese legali. Oppure, la storia dell'insegnante di una scuola media che, per agevolare l'uscita dalla classe di uno studente particolarmente indisciplinato, gli avrebbe toccato la schiena con le mani. Incauto gesto che gli costò una citazione in giudizio per ben 20 milioni di dollari. Citazione venuta meno sul piano penale, ma pagata infine su quello civile, dalla scuola, ben 90mila dollari.
In effetti, alcune ricerche esposte da Howard fanno riflettere: circa il 78% degli insegnanti di scuole medie e superiori degli States, secondo un'indagine del 2004 da lui citata, sarebbero stati accusati di comportamenti illegali o lesivi dei diritti dei propri studenti. Di qui, il terrore degli insegnanti – e di ogni adulto americano in generale – anche solo nello sfiorare un minore. Inoltre, Howard si scaglia anche contro i giudizi in materia di malasanità, sostenendo che ben il 25% dei risarcimenti sarebbe praticamente infondato; di qui la necessità, a suo parere, di corti specializzate in materia di Salute pubblica.
Certo, ad un italiano sembrerà incredibile che qualcuno lamenti questa iper-protezione giuridica: quante volte avrete sentito dire: “ah!...negli Stati Uniti avresti ottenuto un risarcimento milionario!”. Infatti, le tesi di Howard sono state criticate – con antitesi più che brillanti – da un celebre columnist del New York Times, Anthony Lewis, che si è occupato del libro per la New York Review of Books, in una recensione dal titolo: Shall we get rid of the lawyers? (Dovremmo liberarci degli avvocati?).
Lewis, da buon liberal, sottolinea quanto le tesi di Howard nascondano di conservatore, pur essendo apparentemente contro la iper-burocratizzazione del sistema americano. In particolare, Lewis spiega che buona parte delle garanzie giuridiche criticate da Howard derivano in realtà dal fatto che gli Stati Uniti mancano di una rete di protezione sociale che in altri paesi è garantita dallo Stato. Ad esempio, mentre il  diritto alla salute, in Europa e in Canada, è garantito da un sistema di Sanità pubblica, negli Stati Uniti più di 40 milioni di persone sono privi di assicurazione sanitaria, e il 46% di impiegati americani non ha diritto alla retribuzione nei giorni di malattia. Queste mancanze, spiega Lewis, sono colmate dalle cause legali. Ad esempio, ogni stato, dal 1949, possiede una legge sul “risarcimento del lavoratore”. Dato che ogni lavoratore infortunato, in passato, per citare in giudizio il proprio datore di lavoro doveva provarne la negligenza assieme ad una serie di complicati passaggi – che spesso portavano i giudici a negare gli estremi del giudizio - , nel Ventesimo secolo un movimento di riforma portò ad un sistema per cui, pur di evitare la citazione in giudizio, si concedeva il risarcimento dovuto al lavoratore senza che dovesse provare la negligenza del datore di lavoro. Di qui, si giunse alla legge sul “risarcimento del lavoratore”: tipico esempio di come il ricorso al tribunale abbia supplito alla mancanza di una rete di protezione sociale. Inoltre, Lewis fa notare come alcuni eccessi del sistema americano non vengano, al contrario, denunciati da Howard: ad esempio, i milioni di dollari spesi periodicamente dai giudici per le campagne elettorali (in molti stati americani i giudici vengono eletti), che spesso finiscono per essere sponsorizzate da influenti avvocati o da corporations, che prima o poi chiederanno di poter incassare, come ogni lobby che si rispetti, gli interessi sull'investimento speso. O le cifre astronomiche con cui i giovani avvocati vengono “coltivati” nei grandi studi legali: trattamenti economici che spingono, più che all'interesse del cliente e alla conciliazione dove è possibile, alla lotta per il risarcimento e la parcella più alta.
Insomma, il libro di Howard è senz'altro un'utile denuncia di alcune delle disfunzioni del sistema giuridico americano, nonostante molti casi (iperbolici) vengano considerati eccessivamente rappresentativi della realtà. Tuttavia – sostiene Lewis in chiusura di recensione - “dubito che qualche altro giudice farà passare due anni, per bloccare una citazione da 54 milioni di dollari per un paio di pantaloni scomparsi”.


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